Lenny Kravitz su droga, razzismo e rock'n'roll
Lenny Kravitz ha incontrato la stampa presso un hotel romano e ha spiegato il suo punto di vista su droga, razzismo e sul rock'n'roll come stile di vita.
Secondo Lenny - fresco di pubblicazione del fortunato "Black and white America" e del singolo Stand - oggi quest'ultimo aspetto ha contaminato altri campi esterni alla musica: "Ormai il rock'n'roll lifestyle, una volta dominio del mondo del rock, lo ritroviamo in tanti campi diversi, dalla politica all'economia al mondo degli affari", ha detto il cantante.
Il Rock'n'roll, si sa, evoca subito un mondo di eccessi e lusso sfrenato, una tentazione che colpisce tutti e anche Lenny Kravitz non ne è stato immune. Il suo celebre video per Where are we running, infatti, trattava proprio questo tema. Lui stesso, poi, ha ammesso di dovere la vita alla figlia Zoe, attrice 23enne.
Parlando di eccessi non poteva mancare un riflessione sulla droga e sulle star di cui ha causato la morte, come Amy Winehouse, ad esempio. Secondo Lenny "la droga è ovunque, in ogni città. Se volessi acquistarla mi ci vorrebbero tre minuti per trovarla. Chi la vende sa che c'e' mercato, che i musicisti e i loro entourage ne fanno uso. Abbiamo molte tentazioni. Ma quello del connubio rock-droga è anche un cliché. I giovani, pensando agli anni '60 e '70, credono che la droga aiuti a comporre musica, va di moda pensarlo. Ma la droga è distruttiva, specie se tenti di mascherare il dolore".
Kravitz ha spiegato che nel suo "Black and white America" ci sono molti riferimenti autobiografici, in particolare l'album è "una rielaborazione di alcuni aspetti della mia vita, la morte di alcuni familiari, paure, rapporti. Poi un giorno mi sono svegliato e mi sono reso conto che ero felice come non ero mai stato prima".
Certo, prima della felicità il 47enne musicista ne ha passate di esperienze, una su tutte quella del razzismo. Lui, figlio di padre ebreo bianco e di madre nera (Roxie Roker, l'attrice che interpretava Helen ne "I Jefferson") questa piaga la conosce bene: "L'ho scritta [la canzone omonima dell'album, n.d.r.] come reazione a un documentario sui razzisti americani decisi a riportare il Paese indietro di 100 anni. Negli anni Sessanta New York era lo Stato più progressista all'epoca, eppure la gente non era pronta ad accettare una coppia mista passeggiare per le strade. I miei genitori hanno dovuto superare molte sfide ma non si sono arresi né nascosti. Sono orgoglioso di loro", ha detto.
E ora che in Usa governa un presidente nero? Questo, dice Lenny, "non significa che il razzismo non esista più. Molte persone hanno sacrificato la loro vita per questa causa e quando si arriva all'elezione di un presidente afroamericano, coloro che sono contrari a questo progresso si fanno sentire, anche in modo subdolo, assumono atteggiamenti politically correct per non essere criticati". I progressi ci sono stati, è vero, ma la strada è lunga.
Per finire il musicista newyorkese ha parlato anche di uno dei suoi idoli assoluti, assieme a James Brown, Jimi Hendrix, Bob Marley, i Led Zeppelin e altri: quell'idolo era ed è Michael Jackson. Lenny, che scrisse Another day per il defunto re del pop, dice di lui: "È stato il performer più grande della storia. Ma forse il suo periodo più geniale è stato quello con i Jackson 5: da bambino aveva un'intensità e una professionalità degne di Aretha Franklyn e James Brown. Un periodo che è stato forse oscurato dai successi avuti da solista, da Thriller a Bad fino a Off The Wall, in assoluto il mio preferito".
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