Ben Harper, Milano è tutta sua (e di Robert Plant) /VIDEO
Iera sera Ben Harper e Robert Plant a Milano hanno tenuto un concerto da ricordare, uno di quei concerti che non si vedono spesso.
Sì, perché ieri sera all'Arena di Milano il "Jazzin' Festival 2011" ha riunito la storia del rock e il suo futuro, tutto in un unico concerto. Non male davvero.
Che il connubio fra il veterano ex cantante dei Led Zeppelin e il cantautore californiano fosse un evento a prescindere, era nell'aria. Le rispettive esibizioni non hanno fatto altro che confermarlo.
Prima delle due star hanno suonato anche i Bastard Sons of Dioniso, band trentina famosa per essere arrivata seconda ad X Factor 2. L'atmosfera, però, si è scaldata solo quando è arrivato Plant.
Il sempre carismatico cantante inglese era accompagnato dalla The band of Joy, gruppo in cui militò fra il 1966 e il 1968, prima della trionfale era dei Led Zeppelin con Jimmy Page e soci.
Ebbene, Plant ha preso possesso del palco sul calar della sera, alle 20 in punto, snocciolando i suoi grandi successi di sempre con gli Zep, riarrangiati, e altri brani della produzione recente.
A "snaturare" in senso buono le varie Tangerine, Misty mountain hop, Black dog e Gallows pole ci ha pensato la Band of Joy, composta dagli eccezionali musicisti Darrell Scott (mandolino, fisarmonica, chitarra pedal e lap steel e banjo), Buddy Miller (chitarra e voce), Patty Griffin (cori), Byron House (basso) e dal percussionista Marco Giovino.
Risultato? Un'esibizione in cui la voce unica di Plant è stata libera di passare per moltissimi generi, dal vecchio rock, alla psichedelia, al folk, al blues e tutto quanto gli passi per la mente. Con una band del genere dietro le spalle, il vecchio leone ha dimostrato ancora una volta il suo eccezionale talento. Talento che gli è valso un posto nella storia della musica e del rock, in particolare.
Non era facile salire sul palco dopo un'ora e mezza di concerto di tale levatura, ma Ben Harper ha affrontato la cosa con la sua naturale semplicità e positività, riuscendo a stregare l'Arena e il pubblico, ora un po' più giovane.
Vestito con una maglietta bianca, jeans blu e con il solito sorriso bonario, il cantautore californiano ha cominciato la sua magica esibizione, incorniciata da un cielo limpido e un tempo più clemente della precedente data romana.
Così, assieme ai Relentless 7, è iniziato un concerto rock sì, ma con fortissime connotazioni acustiche. Si parte proprio con la fedele acustica, con cui Ben intona Burn one down, per passare alla sempre splendida Diamonds on the inside.
Il musicista è di ottimo umore e non manca di ringraziare il pubblico, che gli permette di fare quello che fa.
Si passa poi a Masterpiece, Burn to shine (all'altro suo amore, la chitarra lap steel), Ground on down e Don't trust a woman.
Successivamente c'è un momento acustico che colpisce, con Ben che ammutolisce l'intera Arena e intona senza microfono una strofa di Where could I go dei Blind Boys of Alabama: magia della musica, la sua voce si diffonde limpida e profonda anche senza amplificazione.
A chiudere il set una compilation di grandi successi, Better way, Ohio e With my own hands, di nuovo con solo voce e chitarra acustica.
Alla fine di tutto resta forse l'impressione di un live show corto (un'ora e quaranta minuti) e di un'esibizione sempre generosa ma forse un po' scolastica. Come sempre, però, Ben ha messo sul piatto la sua magnifica voce e la sua abilità con le sei corde, riuscendo ad evocare fumose atmosfere da club nella tersa Milano di fine luglio.
E scusate se è poco.
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