Pearl Jam, Lightning bolt, il nuovo album
Premessa doverosa: stiamo parlando di un gruppo che ha fatto la storia recente del rock con album che sono certamente pietre miliari. I Pearl Jam ci piacciono, sono tra i nostri gruppi preferiti. Detto questo, come molti casi recenti (Nick Cave e Radiohead, per esempio) assistiamo al tipico caso di un album dove il mestiere vince sull’ispirazione. Non si può certo parlare di un brutto disco: i ragazzi (di una volta, n.d.r.) la stoffa ce l’hanno, sanno suonare, sanno comporre e ancora più sanno stare magistralmente sul palco e creano grandi concerti live.
E spesso accade una cosa, i brani che avevi sottovalutato o bocciato ascoltandoli su disco nella dimensione dal vivo diventano altro, più potenti, più rotondi e corposi, magari prendono quei piccoli aggiustamenti ritmici e melodici che 4-5 mesi o più a suonare insieme riescono ad apportare. Migliorano, e quasi ti ricredi sul giudizio iniziale che avevi dato all’album stesso.
Se volete farvi un’idea di cosa intendiamo ascoltate il singolo Sirens: una ballatona di 5 minuti e passa dove c’è un po’ di Pearl Jam romanticheggianti, un po’ di Aerosmith, un po’ di coretti finali stile Coldplay. Il pezzo scorre via, lo ascolti, lo riascolti, non dispiace, è godibile, ma non è nulla che resti in mente o che ti faccia scattare quel brivido sottopelle che è l’esplicito avviso del “capolavoro in corso”.
Forse il brano è un po’ troppo lunghetto e una Just Breat, Pearl Jam di 4 anni fa (Backspacer), era certamente più riuscita in quella dimensione intima, contenuta, di tre minuti delicati e avvolgenti. L’altro singolo Mind Your Manners è qualcosa di simile: parte con una bella schitarrata e scorre via bello veloce.
Ci si riaccoda al mood classico dei Nostri, come anche con Lightning Bolt, che dà il titolo anche a tutto il Cd: sono pezzi rocckettoni classici, con la tradizionale rincorsa batteria-chitarra vagamente in stile Rearview Mirror, purtroppo non così belli come l’illustre antenato.
C’è anche da dire una cosa: trovarsi il vocione di Eddie Vedder fa poi un po’ dimenticare la fragilità di certi pezzi, potrebbe cantare la mia lista della spesa e darmi comunque sensazioni positive.
Quindi il riassunto è breve: se vi piacciono i Pearl Jam, l’album del 2013 vi soddisferà ma non vi esalterà, probabilmente non lo amerete alla consunzione come avete fatto con molti altri prima ma vi farà piacere dargli un ascolto, di tanto in tanto. Ci rivediamo dal vivo, comunque.
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