Droga e musica, caccia alla radice del problema
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Non sembrano esserci particolari differenze tra le sanzioni attuali e le pratiche medievali. Droga e discoteca formano un binomio pericoloso, spesso guardato come un tabù da chi non frequenta la nightlife: per queste persone, la soluzione più rapida è quella di chiudere i locali e reprimere la movida da un giorno all'altro, sperando che il problema non si ripresenti più. O meglio, sperando che il problema si ripresenti il più tardi possibile.
Puzza di soluzione-tampone anche la chiusura del Cocoricò, ordinata ieri sera per i prossimi quattro mesi. La morte di Lamberto Lucaccioni ha scandalizzato l'Italia, un'Italia che volta le spalle alla crescita economica e alle soluzioni alla radice, scegliendo il contentino che tiene buona la piazza. In realtà tutto il mondo è paese, tranne quando si tratta di attuare le disposizioni legali e reagire razionalmente alle morti per sostanze stupefacenti. In questo caso, l'Italia sembra sempre di più un pianeta a parte.
Cosa dovrebbe pensare il cosiddetto bon-ton Made in Italy, allora, se dovesse imbattersi nei dati tipicamente americani o nord-europei? Tastiamo immediatamente il polso dell'opinione pubblica. L'Electric Daisy Carnival, uno dei festival itineranti più redditizi del mondo e non un semplice club come quelli italiani, fa parte di un giro economico di 3 miliardi di dollari negli ultimi 5 anni. Il grafico sottostante mostra l'incredibile predisposizione all'utilizzo di sostanze tossiche nell'appuntamento statunitense, quantificata in una cifra ben superiore al doppio del secondo evento in classifica, l'Ultra Music Festival, e addirittura superiore al quadruplo del Coachella, terzo nel triste ranking. Nemmeno un tocco d'Italia nei primi quindici nomi della graduatoria, ma nessuno scandalo è stato mai collegato a questi colossi musicali.
Tra le droghe più utilizzate, tiene banco la 4-metilenediossimetanfetamina, nota come MDMA o Ecstasy. È la sostanza che ha ucciso Lamberto e che, come mostra la tabella, ha un raggio d'espansione tremendo nei festival americani. A tener banco non è solo il rapporto vendita-consumo, ma anche la diffusione negli ultimi tre anni: dal 2013 al 2015, la fruizione di questa sostanza è triplicata, diventando di gran lunga la più accessibile per tutti coloro che abbinano la musica ad una concezione di divertimento alquanto discutibile. Anche in questo caso, però, l'Italia non rientra tra i nomi incriminati e nessuno degli eventi citati ha mai subito ripercussioni simili a quelle viste in questi giorni a Riccione.
Qual è, allora, il problema di base all'interno del sistema musica elettronica, EDM o techno che sia?
Si potrebbe discutere a lungo delle misure preventive, applicate in maniera squilibrata da nazione a nazione, da evento ad evento. Si potrebbe anche parlare d'età, di accessi negati ai minorenni, ma anche di sanzioni economiche e restrittive nei confronti di chi vende e di chi compra sostanze stupefacenti.
Senza voler pontificare o assumere una posizione retorica, in realtà, la questione di fondo sembra essere una duplice forma di ignoranza: in primis da parte di chi sceglie di far sopravvivere la grana della droga, ma anche da parte di chi evita di analizzare i problemi ed opta per una cieca forma di repressione.
I grandi eventi internazionali, stando alle voci di chi trae beneficio dalla loro presenza, hanno cominciato una forte campagna di sensibilizzazione, a partire dal messaggio di Steve Aoki e Polizia di Las Vegas, scartando l'ipotesi di chiudere le discoteche o annullare i festival. In Italia ci si interroga ancora sulle sentenze che hanno letteralmente tranciato le gambe all'industria del clubbing romagnolo: l'auspicio è che, a partire da subito, ci si sieda a tavolino per studiare un piano analogo a quello dei colleghi stranieri.
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