Intervista a Demonology HiFi: “Inner Vox è un caleidoscopio di innesti”
Musica e ballo come strumenti di una catarsi laica. È questa l’essenza del progetto Demonology HiFi, il duo formato da Max Casacci e Ninja che dopo due anni di live set sfornano un intero album con cui concretizzare un ideale di vita e di arte. Venerdì 20 gennaio esce, infatti, “Inner Vox” (Sony Music) con undici brani che esplorano la musica unendo suggestioni antiche e contemporanee, elettronica e canto gregoriano.
Le parole sono sussurri mistici di un dialogo interiore che è sacro e profano insieme e si svolge al ritmo di beat originali a basse frequenze. A completare ogni traccia, curata come ogni inno rituale merita, ci sono innesti musicali dalle più disparate derivazioni, i suoni afro e quelli barocchi.
Numerosi anche gli ospiti che hanno riposto positivamente all’invito dei due producer cerimonieri che in Inner Vox hanno collaborato con Cosmo, Populous, Bunna, Birthh e Niagara. Abbiamo incontrato i predicatori del groove ed ecco che cosa è emerso dalla chiacchierata.
Partiamo dalla genesi del progetto: quando è nata l’idea di un album come “Inner Vox”?
Questo progetto ha origine un paio di anni fa, dopo l’esperienza di dj set; l’ambizione era quella di unire elettronica, in particolare la bass music, con sollecitazioni completamente diverse. È stata una sfida assimilare in unico tessuto sonoro movimenti musicali diversissimi e lontani nel tempo. Partito come un gioco, tutto il processo è divenuto più sistematico e abbiamo avuto l’esigenza di creare dei beat nostri, una struttura ritmica inedita. Queste sono state le prime fondamenta.
Quale è stata l’evoluzione successiva della “voce interiore”?
“Inner Vox” identifica bene un percorso tematico e narrativo: sono dialoghi della coscienza che a volte suona come un ronzio d’insetto, lo stesso che sta sulla copertina – con la macro di una mosca – e che si sente nelle tracce come tag sonoro del disco. È stato un processo artistico di approfondimento di molti aspetti, partito da un gioco collettivo, con l’aggiunta di un simbolismo molto forte. Non ci siamo messi maschere, ma abbiamo voluto creare un nostro ambito narrativo e visuale, unico nel look e nel suono. Giochiamo con la musica dando un input spirituale alla carne del dancefloor.
Come avete lavorato sui suoni?
Nell’ambito dell’elettronica, l’universo musicale di riferimento è stata la galassia della bass music, ovvero quel mondo che si distacca dalla casa dritta e ha una derivazione black, molto fisica. Non volevamo rifarci a suoni noti e, per questo, abbiamo evitato la classica interpretazione di seconda mano di soluzioni sonore già sentite. Abbiamo preferito, invece, confrontarci con un’interpretazione personale e non convenzionale del genere, creando qualcosa che non avesse precedenti, anche attraverso soluzioni sonore sperimentali. Inoltre, abbiamo scelto di usare strumenti particolari, ricercati, come il balafon africano, per dare forma a un suono riconoscibile e insieme nuovo. Nulla è stato lasciato al caso in questo gioco caleidoscopico di innesti.
Rispetto alla vostra storia artistica quali sono le novità maggiori del progetto Demonology HiFi?
Più che in passato abbiamo testato i movimenti ritmici direttamente in consolle, lì dove si capisce subito se si sbaglia anche un minimo perché c’è un rapporto particolare tra la musica scelta e il modo di proporla al dancefloor. Prima di arrivare al risultato finale che si sente nell’album abbiamo davvero testato scientificamente ogni beat, procedendo con un lavoro di addizione costante e scientifica protratto in due anni. Non si tratta di un album nato con l’esigenza di a passare in radio, quanto come esperimento liberatorio. Poi, come ogni esperimento, può anche riservare sorprese...
E quanto c’è del suono dei Subsonica in “Inner Vox”?
Subsonica e Demology HiFi sono uniti da un elemento fondamentale, quello della pulsazione, del ritmo, della musica che auspica un coinvolgimento fisico. Era importante nei Subsonica e diventa essenziale qui, acquistando maggiore spazio perché si libera dalla forma canzone. Le melodie sono state realizzate in un secondo momento, per lasciare al centro i suoni più funzionali al dancefloor e, per esempio, dando forza a espedienti come i ritmi dispari, già sperimentati proprio con i Subsonica.
Con quale criterio avete scelto le collaborazioni?
Non abbiamo cercato l’ospite sensazionale o il nome iperbolico, ma abbiamo coinvolto una nuova generazione di musicisti italiani che si confrontano anche con i suoni fuori confine senza abbassare la testa. Per esempio, Birthh è una giovanissima fiorentina che incide per una label di San Francisco, mentre Niagara lavora molto su Londra; sono tutti perfettamente integrati nel quadro internazionale. Ci sono poi Populous, che ha il merito di aver dato una propria interpretazione forte della sua musica, mentre Bunna è un maestro nella contaminazione di soluzioni sonore diverse. L’ultimo arrivato in ordine di tempo è stato Cosmo, che abbiamo coinvolto per un brano che faceva da base a una voce presa da un documentario BBC; in questa traccia ha provato a buttarsi nel rap e si è messo alla prova a cuore aperto.
Ci sono tracce che sono rimaste fuori dalla tracklist finale?
Sì, abbiamo cose che sono rimaste nel pc come basi, spunti per il futuro che potrebbero, però, entrare in un dj set. Chiaramente abbiamo messo nel disco i pezzi più a fuoco e, secondo noi, undici pezzi sono più che sufficienti per questo album; un numero eccessivo di tracce rischiava di annacquare il progetto. Le undici che abbiamo inserito sono la fotografia giusta per raccontare quello che il lavoro ha da dire, in questo momento, nella sua unitarietà e in una forma meno liquida. Ed è vero che oggi la fruizione di un album è sempre meno strutturata, ma “Inner Vox” si esprime meglio attraverso un ascolto lineare dalla prima all’ultima traccia perché, più che come playlist, è pensato proprio come percorso ordinato.
In che modo porterete dal vivo le atmosfere dell’album?
Il dj set è sicuramente la forma con cui proporremo i prossimi live, anche perché è la forma che ci libera di più dalla gabbia di dover suonare necessariamente l’ultima release. Il set potrà essere focalizzato maggiormente su “Inner Vox”, ma continueremo a utilizzare ogni suggestione che sia coerente con lo svolgimento del dj set stesso; ciò che conta è offrire un flusso sonoro consistente per un viaggio nella musica da ballare senza una stretta specificità di genere. E poi ci aspettiamo di salire sui palchi di tanti festival rock.
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