Intervista a Jack Garratt: “Oso sempre nella musica per creare qualcosa di nuovo”
Voce piena, personalità da vendere e il talento naturale di musicista sono tra le caratteristiche che hanno fatto di Jack Garratt uno degli artisti più promettenti degli ultimi mesi. Fresco vincitore del Best Crtitics’ Awards e del BBC Music Sound 2016, il giovane cantautore pubblica in Italia il suo album di debutto, “Phase”, in uscita il 19 febbraio per Universal Music.
Anticipa il disco il singolo Worry, brano dal buon successo radiofonico anche nel nostro Paese, che introduce a certe atmosfere che ritornano nelle altre undici tracce, costruite su testi intensi e a tratti struggenti con melodie difficilmente inquadrabili entro un genere definito. Il 24enne inglese – cantautore, polistrumentista e produttore – accompagna l’ascoltatore attraverso un pop alternativo, suggestivo, con accenti blues e ritmiche quasi oniriche. Intro delicate e sofisticate si fanno via via più ricche e corpose, quasi a esplodere nel momento culminante di un pezzo, per tornare nuovamente a una sottigliezza pacata e malinconica in chiusura.
Garratt è stato a Milano per presentare il suo progetto e ha raccontato il proprio percorso musicale - Eurovision Song Contest compreso -, le influenze e le emozioni di questo debutto discografico.
Il 19 febbraio esce, dopo due EP, il tuo primo vero album e si prospetta per te un anno davvero importante: come ti senti?
In verità mi sento sia entusiasta sia un po’ sotto pressione. Da una parte è un sogno che si realizza, costruito e preparato negli ultimi cinque anni, ma dall’altra, quando si va a dormire, quasi non lo si riesce a sognare per lo stress! Credo, però, di riuscire a gestire abbastanza bene questa pressione: continuo ad andare a avanti e a fare la miglior musica possibile. È una sensazione adorabile, a metà tra il terrificato e l’entusiasta! (ride, ndr)
Nel tuo album hai raccolto diverse influenze: ci racconti un po’ qual è il sound che ti rappresenta?
Mi piace sapere che la mia musica è oggetto di riflessione ed è in grado di accendere una conversazione in merito, di diventare qualcosa di cui parlare. In un certo modo, sia le influenze sulla mia musica sia i generi che ascolto divengono irrilevanti quando si ascoltano i miei brani perché il pubblico potrebbe avvertire influenze differenti e sentire le canzoni in maniera completamente diversa. D’altra parte le influenze che chi ascolta riconosce potrebbero essere condizionate dalle mie, come in un continuo percorso ciclico di ispirazioni e influenze.
Io per esempio amo Stevie Wonder, mentre alcuni mi accostano a Ed Sheeran: io non vedo questa connessione ma so che anche lui è influenzato da Wonder e Justin Timberlake come lo sono io. Chi ascolta riconosce certi legami, somiglianze nelle melodie o di approccio alla musica; è la gente che individua da sé le sue influenze. Per questo le mie diventano irrilevanti: siete voi che ascoltate che arrivate a decidere, a partire da ciò che sentite voi stessi.
Hai parlato di approccio alla musica: qual è il tuo?
Cerco sempre di creare qualcosa di nuovo, inedito, senza lasciarmi scoraggiare dalla paura di non riuscirci. In un certo senso cerco di essere ingenuo, stupido e folle nell’uso dei suoni e generi diversi tra loro, unendo il folk all’electro dance o il funk alla musica metal. È un rischio, un salto nel vuoto, e ci vuole coraggio; non so se alla fine funziona, ma ci provo!
Nel tuo curriculum sei definito un polistrumentista: quando hai iniziato a suonare e quanto è importante per te?
Il fatto di essere polistrumentista è una parte di me fin da ragazzino: ero incuriosito dalla possibilità di conoscere nuova musica e provare a suonare quanti più strumenti possibile. Ma questo non è stato un modo per farmi notare o altro! Solamente, per esprimere la creatività che sentivo dentro di me, ho cercato di realizzare suoni utilizzando sempre strumenti diversi, un giorno suonavo la chitarra e quello successivo iniziavo con la batteria. A mano a mano, crescendo, ho iniziato a creare musica usando vari strumenti contemporaneamente per comunicare al mondo i suoni che avevo in testa.
Oltre a essere polistrumentista, sei cantautore e produttore: come mai, secondo te, gran parte della tua generazione musicale ha abbandonato la musica acustica e la tradizione folk a favore di una prevalenza elettronica?
Credo che sia una conseguenza naturale della sempre maggiore disponibilità di strumenti tecnologici via via più avanzati. Gli artisti cercano di essere un passo avanti ma con lo sguardo a dieci anni fa, in una sorta di atteggiamento romantico per cui vorremmo portare la musica che si ascoltava in passato anche alle nuove generazioni. È quanto è successo anche con lo sviluppo tecnologico tra gli anni Settanta e Ottanta, che ha reso possibile una riduzione dei costi e l’aumento nelle vendite dei dischi: con la metà del tempo di lavoro si poteva raggiungere il doppio del pubblico.
E oggi addirittura potremmo realizzare professionalmente un album in una settimana con un laptop e pubblicarlo in un giorno. Chiunque potrebbe farlo a questo punto! Il rischio è concentrarsi esclusivamente sul suono e sulla melodia trascurando la scrittura con un conseguente calo artistico. E questo ha a che fare anche con il pubblico su larga scala, che pretende una qualità musicale alta a livello tecnico vista la tecnologia a disposizione. Ma oggigiorno c’è anche una parte di pubblico che vuole sentire buona musica sul piano dei contenuti, musica che dia maggior peso alla scrittura e rispetti chi l’ascolta.
Tra le tue esperienze musicali, c’è una partecipazione al Junior Eurovision Song Contest nel 2005: come ricordi quei giorni?
Diciamo che ci ho provato e ho fallito completamente! (ride sonoramente, ndr). Avevo circa 14 anni e per la prima volta mi mettevo alla prova con la musica in qualcosa più grande di me. Mi sono reso conto, crescendo, che fino ad allora fare musica era stato un modo per attirare l’attenzione su di me, come tutti i bambini e ragazzini cercano di fare; ecco, io lo facevo con la musica. Per la prima volta all’Eurovision ho messo il piede fuori dalla porta con la mia musica non per attrarre l’attenzione ma per mettermi alla prova. Ed è finita che quella porta l’ho presa in faccia!
Fu un’esperienza molto dura per me, ma utile; in fin dei conti, se oggi sono qui, non fu poi un così grave errore. Ho imparato molto, soprattutto mi ha messo davanti al lato oscuro della musica e al potere manipolatorio dell’industria discografica: è una parte del mondo musicale a cui non sono affatto interessato. La musica non deve essere mai una competizione! E per questo ho sempre detto no ai talent.
Recentemente hai vinto due importanti premi (il Best Critics’ Awards e il BBC Music Sound 2016): quanto significano per te in questo momento del tua carriera?
Sono enormemente grato per questi premi ma come dicevo per l’Eurovision non vivo la musica come competizione e queste vittorie mi hanno portato al centro di un’attenzione a cui forse neanche ero pronto. Questi riconoscimenti sono incredibili per quello che rappresentano, è la sola cosa su cui voglio concentrarmi e non sul fatto che sia stato io a vincerli. Prima di me sono stati consegnati a grandi nomi della musica UK e non mi interessa tanto il fatto di essere stato incluso entro un certo gruppo di artisti vincitori di un premio quanto il fatto di essere stato inserito in un gruppo di musicisti che, come me, amano fare nuova musica e cercano di farla nel modo migliore che possono per raggiungere il pubblico più ampio. Questo è l’aspetto più importante.
Jack Garratt - Date e biglietti
Evento | Località | Data | Prezzo | |
---|---|---|---|---|
Jack Garratt | Milano Fabrique | 17,25 € | Compra | |
Jack Garratt | Milano Tunnel | 17,25 € | Compra |
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